lunedì 27 febbraio 2023

Un anno di guerra in Ucraina, Europa

                   


[fonte: www.fanpage.it]

8 milioni di profughi accolti in altre nazioni europee.
6 milioni di sfollati in fuga dalle zone di guerra.
Centinaia di migliaia di morti, dispersi, feriti e mutilati fra civili e militari.
Città devastate, villaggi rasi al suolo, campi fino a ieri fertili contaminati dalle mine disseminate dai militari di entrambi gli eserciti, infrastrutture civili distrutte, danni economici incalcolabili.


Questo è il bilancio attuale di un anno di guerra nel cuore d'Europa e viene naturale chiedersi il perché di questo scempio, ma prima di interrogarsi sulle responsabilità di questa tragedia è necessario cercare di fermarla il più presto possibile.

I negazionisti che ancora oggi sostengono la tesi che la Russia non può far altro che "vincere la guerra" dovrebbero riflettere sulle catastrofiche perdite inflitte agli invasori sin dall'inizio del conflitto dall'esercito ucraino (che da anni si addestrava con l'ausilio di istruttori occidentali) e dalle locali milizie territoriali (composte essenzialmente da riservisti il cui addestramento secondo le dottrine NATO è stato curato dai nostri Carabinieri).
Questa resistenza, che ha immediatamente potuto contare sul determinante supporto di intelligence della NATO, è comunque costata perdite terribili anche ai difensori fino a quando la mobilitazione messa in atto da Kiev non ha consentito di riequilibrare la situazione sostituendo le milizie territoriali con personale di leva motivato, ben addestrato e ben equipaggiato con materiali e armamenti giunti dalla NATO.
L'esercito russo, di contro, che il 24 febbraio 2022 era composto soprattutto da personale professionista altamente qualificato e ben addestrato, non ha potuto compensare le gravissime perdite iniziali immettendo nuovo personale di pari livello, non disponendo - come qualsiasi esercito organizzato su base professionale - di un sistema di reclutamento e di mobilitazione su vasta scala efficiente e organizzato come quello di una nazione le cui forze armate sono basate su personale di leva.
Tutto questo ha progressivamente ribaltato i rapporti di forza sino a portare i militari ucraini a un livello qualitativo complessivamente molto superiore a quello dei loro avversari russi, che ormai non sono più in grado di svolgere operazioni di alto livello di complessità tattica salvo che con le poche unità d'elìte sopravvissute alla mattanza iniziale.
Dal punto di vista logistico, si sono palesate nel dispositivo militare russo le debolezze già risapute riguardanti l'estrema carenza di veicoli di supporto che, basando unicamente sul sistema ferroviario tutti i rifornimenti, costringe le forze armate a operare solo nelle vicinanze degli snodi ferroviari e consente di dispiegare su un singolo teatro operativo non più di 180-200.000 uomini, quantità all'incirca corrispondente alla forza d'invasione schierata all'inizio della guerra.
Dal punto di vista tecnologico, l'unica branca dell'esercito russo dimostratosi abbastanza efficace è stata l'artiglieria quando utilizzata in modo massiccio e indiscriminato come prevede la dottrina di derivazione sovietica. Tuttavia essa si è rivelata del tutto inadeguata nel fuoco di controbatteria e nel bombardamento di precisione, settori in cui gli ucraini hanno potuto avvantaggiarsi delle più avanzate tecnologie ISR messe a disposizione della NATO e di sistemi di precisione (obici M777 con munizionamento a guida GPS, lanciarazzi Himars e MLRS, semoventi Caesar e Pzh2000).
Anche il supporto aereo russo si è dimostrato estremamente deficitario per la mancanza di armamenti missilistici aria-terra dotati di sistemi di guida satellitare di precisione dei bersagli (il Glonass non è nemmeno lontanamente paragonabile al GPS) e per l'incapacità di svolgere missioni SEAD per eliminare la contraerea nemica: questo, in particolare, ha portato a una vera strage di elicotteri e all'utilizzo anche di costosissimi e modernissimi cacciabombardieri ognitempo in infruttuose missioni di attacco a bassa quota con bombe non guidate, missioni rese peraltro estremamente pericolose dai manpads ucraini.
Sempre in tema di armamenti è da rilevare, con buona pace degli strateghi de noartri (gli ineffabili Mini e Orsini), che l'Occidente ha calibrato in maniera perfetta le tempistiche per la messa a disposizione dei sistemi d'arma di volta in volta necessari per sopperire alle necessità del momento da parte ucraina: il primo assetto fornito, come già detto, è stato il supporto di intelligence tramite aerei, droni e satelliti, che ha sistematicamente messo gli ucraini in grado di conoscere quasi in tempo reale tutte le mosse del nemico, possibilità di cui i russi non dispongono. Poi, per contrastare le colonne corazzate e gli elicotteri, sono arrivati gli obici di artiglieria, i missili Javelin e i manpads Stinger.
Successivamente, quando il fronte si è stabilizzato, per battere le trincee e le retrovie logistiche russe sono giunti i droni Bayraktar e i lanciarazzi Himars che hanno costretto i russi ad arretrare oltre la loro portata i depositi di carburante e di munizioni, rendendo ancora più problematici i rifornimenti al fronte.
E' quindi del tutto esatto affermare che Javelin, Himars e Stinger hanno "cambiato il corso della guerra", poiché senza questi sistemi l'Ucraina probabilmente non avrebbe potuto contrastare l'invasione russa, con buona pace degli esperti de noartri (gli ineffabili Vauro, Travaglio e di Battista, che farebbero bene a parlare delle cose che conoscono invece di quelle di cui non sanno nulla).
Il successivo step (che peraltro si sta già attuando) di forniture militari occidentali all'Ucraina è l'arrivo di carri armati moderni, di veicoli corazzati per la fanteria e di aerei da combattimento, che hanno lo scopo di mettere l'Ucraina in grado di passare da un atteggiamento puramente difensivo, come è sempre stato finora, alla capacità operativa di programmare e mettere in atto una offensiva finalizzata alla riconquista dei territori ucraini occupati dai russi e alla negazione di quello che è sempre stato l'obiettivo strategico minimo del Cremlino: la costituzione sul terreno ucraino di uno stabile collegamento terrestre fra i territori della madrepatria e la Crimea. Anche in questo senso, a condizione che arrivino mezzi in quantità sufficiente e che gli ucraini sappiano farne buon uso, tali forniture si riveleranno probabilmente "decisive" (sempre con buona pace di Orsini & friends) per le sorti del conflitto poiché sarà proprio in base al risultato, quale che sia, di questa offensiva che si determineranno le condizioni di rispettivo vantaggio/svantaggio a partire dalle quali le due parti potranno finalmente sedersi a trattare la fine delle ostilità.
Ci troviamo quindi di fronte a una situazione complessiva in cui il pallino è per buona parte in mano all'Occidente: più aiuti militari continueranno ad arrivare a Kiev e più alte saranno le probabilità ucraine di potersi sedere al tavolo negoziale in posizione di vantaggio contrattuale rispetto alla controparte russa.
E poiché tutto questo è perfettamente noto a Mosca, la reazione russa si sta già da tempo concretizzando in due direzioni: quella militare, attraverso operazioni di pressione sul fronte caldo del Donbass tendenti a logorare il più possibile le attuali risorse ucraine in termini di uomini e mezzi e impedire che con il sopraggiungere dell'estate Kiev possa disporre della massa critica necessaria per passare all'offensiva, e quella politica, attraverso una costante e diffusa opera di propaganda e di disinformazione condotta attraverso soggetti consapevoli o inconsapevoli (vero, Di Battista?) tendente a far crollare il consenso dell'opinione pubblica europea nei confronti della politica occidentale di supporto militare all'Ucraina e di sanzioni commerciali alla Russia negandone l'efficacia.
In termini di sanzioni, è da rilevare come questo strumento sia per sua natura produttivo di effetti reali solo nel medio/lungo periodo se lo si intende come mezzo per ottenere una crisi complessiva del sistema economico che si intende colpire, mentre può avere efficacia immediata solo in determinati e specifici settori dell'apparato produttivo. Nel caso in questione l'obiettivo di breve periodo è costituito dal mettere in crisi le capacità produttive del comparto industriale militare russo attraverso la cessazione della fornitura di componenti e sistemi elettronici necessari per lo sforzo bellico che la Russia non è in grado di produrre autonomamente o di reperire in quantità e qualità sufficienti da fonti alternative sul mercato internazionale: tutto questo sta effettivamente avvenendo, e le conseguenze reali delle sanzioni sono funzione diretta di quanto ampie siano le scorte di tali materiali strategici che la Russia abbia già immagazzinato prima dell'avvio delle sanzioni e in previsione di esse.
Per quanto riguarda invece il fattore propagandistico, atteso che né in Ucraina né in Russia ci si può aspettare che i media possano essere liberi di remare in qualche modo contro i rispettivi governi e le posizioni politiche delle loro leadership, non si può non prendere atto del disastroso comportamento dei media occidentali, che nella maggior parte dei casi hanno scelto di fare da acritico e demagogico megafono alle posizioni preconcette che possiamo definire "no-war" oppure "no-pax"  espresse da pacifisti a oltranza e da bellicisti per partito preso. Abbiamo assistito quindi a una lunghissima sequela di surreali dichiarazioni di anchor-men o presunti tali che hanno prefigurato la "necessità di bloccare i russi in Ucraina per evitare che possano giungere fino a Lisbona" (vero, Severgnini?) oppure, al contrario, che "la Russia non può perdere perché ha le bombe atomiche a sua disposizione" (vero, Orsini?), mentre le poche voci dimostratesi capaci di rimanere ragionevolmente imparziali restano reperibili esclusivamente al di fuori dei tradizionali canali mainstream e non possiamo purtroppo aspettarci che tale deprecabile situazione dell'informazione possa migliorare alla cessazione delle ostilità.
Come sempre, la prima delle tante, troppe vittime di di ogni guerra è la verità.
Tuttavia, qualche punto fermo può essere comunque fissato.
Prima di tutto, è necessario ribadire che qualsiasi antefatto politico dell'invasione russa non può in alcun modo essere chiamato in causa come alibi da nessuna delle parti in causa: molti commentatori hanno fatto riferimento alla mancata realizzazione degli accordi di Minsk come diretto casus belli per la guerra civile in Donbass, il che è oggettivamente vero essendo tali accordi solo un tappeto sotto al quale l'Occidente ha cercato di buttare la polvere dei rancori etnici in quella regione, ma gli stessi commentatori evitano accuratamente di ricordare che questi rancori sono stati innescati direttamente da Mosca, contemporaneamente all'invasione russa della Crimea, in una regione che fino a quel momento non aveva dato alcun segno di tensioni o di particolari contrapposizioni sociali.
Altro racconto equivoco è quello della "minaccia costituita dall'espansione NATO a est" nonostante le promesse fatte in passato di non portare l'Alleanza Atlantica al di là dei confini esistenti dopo il crollo del Patto di Varsavia: anche questo è vero, ma è altrettanto vero che si trattava di promesse alle quali al momento entrambe le parti erano interessate a credere per ragioni di politica interna spicciola ed è parimenti vero che le stesse parti erano perfettamente consapevoli della totale mancanza di valore pratico di tali impegni nel lungo periodo, attero che l'unico punto fermo e non discutibile della questione è e resta comunque il fatto che la NATO non ha alcun interesse a rappresentare una minaccia per la Federazione Russa. Il punto di vista di tutto l'Occidente è che la Russia, in quanto potenza nucleare di primo livello, debba continuare in ogni caso a mantenere invariata la sua stabilità politica sulla scena internazionale. Questa visione ha sempre costituito il presupposto fondamentale delle modalità attraverso le quali si è sviluppato il supporto politico e militare occidentale all'Ucraina e spiega l'attenta e chirurgica gradualità con cui tale supporto è stato messo in atto evitando accuratamente di creare le condizioni per determinare al Cremlino una crisi di leadership e un possibile conseguente vuoto di potere che potrebbe portare a conseguenze non prevedibili, non desiderabili e, soprattutto, non controllabili e non reversibili.
Resta comunque il punto realmente critico di questa strategia politica, costituito dall'impatto pesantemente negativo sull'economia europea della guerra in Ucraina, della conseguente crisi delle relazioni politiche con Mosca e dai danni collaterali inevitabilmente indotti sui mercati europei dalle sanzioni nei confronti della Russia. Se negli Stati Uniti il conflitto ucraino non ha avuto alcuna seria ripercussione economica, essendo l'import-export con la Russia irrilevante, ben altro si deve dire delle economie europee già messe in ginocchio in molti comparti prima dalla pandemia e poi dalle speculazioni sul mercato energetico internazionale conseguenti alla pandemia stessa e antecedenti alla guerra. La perdita del mercato russo in termini di interscambio commerciale fra materie prime e prodotti finiti ha pesato e continuerà a pesare a lungo su molte economie europee, Germania e Italia in primis, le quali si erano imprudentemente legate a Mosca per quanto riguarda l'approvvigionamento energetico perdendo di vista una visione strategica che avrebbe consigliato una maggiore diversificazione di tali fonti. Si è quindi scelto di lucrare sul breve periodo e con ben poca lungimiranza puntando su disponibilità immediata e abbondante di gas a basso costo, senza rendersi conto o senza preoccuparsi del fatto che ai vantaggi economici si sarebbero dovute sommare le inevitabili esposizioni di carattere politico.
Oggi l'Europa paga il prezzo di questa politica imprudente, ma tutto ciò al momento non sembra costituire per gli Stati Uniti un fattore capace di influenzare in qualche modo la loro strategia nel conflitto ucraino: anche a Washington si tende a lucrare sugli innegabili vantaggi economici immediati che la crisi comporta in termini di perdita di competitività del sistema economico europeo e di business per l'industria locale degli armamenti, ma la Casa Bianca dovrebbe rendersi conto che tirare troppo la corda potrebbe portare l'Europa a un progressivo deterioramento del legame di sudditanza politica nei confronti degli Stati Uniti.
Purtroppo in questo momento la politica statunitense si trova nel delicatissimo e lungo periodo di preparazione alle prossime elezioni presidenziali, in funzione esclusiva delle quali si giocano le strategie elettorali di democratici e repubblicani e, in questo contesto in cui l'elettore medio americano di entrambi i partiti parte sempre e comunque dal costante presupposto di "America first", sembra che l'Europa, soggetto che continua a dimostrarsi completamente irrilevante sul piano geopolitico, sia ancora una volta destinata a recitare la parte del vaso di coccio fra i vasi di ferro nonostante sia il suo stesso tessuto a essere straziato dalla guerra.
Intanto, mentre altri attori della politica internazionale come la Cina cercano di accreditarsi come mediatori, appare chiaro che per ora sia Zelenskij sia Putin ritengono che l'occasione di discutere una tregua potrà concretizzarsi solo dopo aver constatato sul campo di battaglia quali saranno i risultati del confronto che riprenderà fra qualche mese con l'arrivo di condizioni meteorologiche favorevoli alla ripresa della guerra di movimento su vasta scala.
Fino a quel momento, ogni appello alla pace cadrà nel vuoto e ogni eventuale manifestazione della volontà di negoziare da parte di una delle due parti verrà interpretata dall'altra parte solo come segno di debolezza e ne rafforzerà la determinazione a continuare a lasciare la parola alle armi.

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